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Il brio del bastardino

Moltissimi anni fa, io ero un ragazzo, avevo un cagnetto, un bastardino intelligentissimo di nome Nabù. Tutte le mattine, pomeriggi e sere bisognava portarlo a fare pipì nei paraggi. Sul percorso della passeggiata rituale c’era una villa con giardino, protetta da una robusta cancellata. All’interno vivevano due cagnacci temibili, ingaggiati per scoraggiare qualsiasi intrusione di malintenzionati. I due ringhiosi custodi avrebbero sbranato chiunque fosse capitato a tiro.
Nabù si era immediatamente inventato un gioco che lo appassionava molto.
Stando ben protetto al di qua del cancello, aizzava le due belve nell’altro lato. Scodinzolando corricchiava avanti e indietro davanti le inferriate, mentre i due cagnacci facevano il finimondo, ringhiando, abbaiando, latrando e mostrando fauci che avrebbero schiantato Nabù, se avessero potuto afferrarlo.
A lui non pareva vero. Si spostava due metri a destra, inseguito dai due furibondi. Poi saltellava due metri a sinistra, mentre le belve rischiavano l’infarto per la rabbia impotente. Dopo qualche minuto di questa manfrina, Nabù considerava raggiunto lo scopo, alzava la gamba per una pisciatina irridente e si allontanava appagato.
Fino alla volta successiva.

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