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Le marachelle del piccolo Gianni

La piazza era animata come al solito, ma il bimbo era annoiato e si stava lambiccando su come ingannare il tempo.
In perpendicolare sotto di lui c’era lo zio Ettore che stava esaminando alla luce del giorno il pellame per delle scarpe. Gianni decise che un tirassegno sarebbe stato un ottimo passatempo. Raccolse in bocca un bel po’ di saliva e poi allegramente sputò
verso il basso.
Fu sfortunato, molto sfortunato!
Il colpo era preciso, il proiettile uscito dalla bocca del monello c’entrò alla perfezione la testa pelata del malcapitato Ettore. Questi levò gli occhi verso l’alto, vide il nipote, capì cosa fosse successo e un urlo leonino gli uscì dal profondo del petto. Gianni, terrorizzato dal gesto sconsiderato di cui comprendeva in ritardo la gravità, si fiondò su per le scale, cercando rifugio in qualche buco del piano superiore. L’imbufalito Ettore si slanciò a sua volta verso gli appartamenti di sopra con l’energia e il furore di un toro ferito durante la corrida.
Raggiunse il colpevole sputacchiatore quando oramai l’ira vindice si era attenuata. Ciò non gli impedì di ricompensare la brava del nipote con un paio di sani, rotondi scappellotti sulla nuca, poi se ne tornò, ancora imprecando, giù per le scale. Scendendo incrociò Adele che era uscita dall’appartamento, richiamata dal trambusto.
Ettore fu sintetico.
«Mi ha sputato in testa» ruggì con gli occhi ancora di brace.
Fu la volta di Adele di balzare come un camoscio sulle scale. Brancò il malcapitato Gianni e lo premiò con una mezza dozzina di sculaccioni, di quelli che un bimbo difficilmente dimentica.
Più tardi fu il turno di Ugo. Mentre il figlioletto pensava di scampare almeno a quella punizione, il padre gli rifilò un generosissimo calcio nel sedere, quali si vedevano solo negli stadi di Serie A.
Anche quella volta Gianni imparò diverse lezioni.
Primo. Gli zii, non solo i genitori, quando perdono la pazienza possono essere pericolosi, molto pericolosi.
Secondo. Se il nonno Carlo aveva mani leggendarie per forza e durezza, Adele era degna figlia del padre e bisognava tenerne conto in futuro.
Terzo. Se sua madre aveva le “mani come pale di un mulino a vento” (quando crebbe usò spesso quella definizione), suo padre con un calcio bene assestato era in grado di rivaleggiare con una granaiola di scapaccioni della pur dotata madre.
Quarto. Non è buona creanza sputare.
Quinto. Meno che mai dai balconi.
Sesto. Drasticamente sconsigliato quando sotto c’è lo zio Ettore.

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