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Lo stralunato Ali

Ci accoglie un ragazzino con uno strabismo accentuatissimo; nessuno dei due occhi divergenti ha uno sguardo vivace e, dal tono che gli usa un rude impiegato che ci accoglie al lercio bancone d’ingresso, intuisco che il ragazzo deve essere oggettivamente tonto. Però Ali (mi pare che l’altro lo chiami così) è volonteroso. Ci aiuta a portare i bagagli e, una volta sistemati nella scalcinata stanza, fatico a spiegargli che vorrei una bottiglia d’acqua. Sparisce; chissà cosa ha capito?
[…]
Arriva Ali con la bottiglia d’acqua. Meno male, ha capito! Non sono di umore incline alla generosità, ma quel ragazzino strabico e tonto mi fa pena. Gli porgo 10 rupie (0,15 euro). Ali mi guarda con uno dei due occhi e mi sembra quasi spaventato; rifiuta il biglietto. La reazione mi sorprende; rimango perplesso. Per un attimo guardo la cartamoneta per vedere se ci sia qualcosa di anomalo. È unta, sporca, ma non mi è sembrato che gli indiani fossero schizzinosi, almeno non quelli incontrati fin ora. Gli porgo ancora il denaro. Nuovamente fa dei gesti che interpreto come un rifiuto di cortesia, una sorta di “non è il caso”, inusuale e inspiegabile. Gli prendo la mano e gliela chiudo attorno al biglietto da 10 rupie. Mi regala un sorriso ebete e se ne va.
[…]
È ancora presto per dormire e domani ci aspettano “solo” 80 chilometri fino a Kanpur. Voglio concedermi il mezzo toscano serale, seduto nel cortiletto antistante l’ingresso del prestigioso Shagun Palace.
Carlo, depresso e in preda a una crisi di raffreddore che da qualche ora lo sta tormentando, decide di farmi compagnia. La serata è gradevole. Prendiamo due sedie sgangherate e ci sediamo, evitando quanto più possibile di stare vicini ai cumoli di immondizie che sono sparsi qua e là.
Chiacchieriamo, scambiandoci le impressioni di questi primi giorni di contatto con la realtà indiana. Concordiamo che queste pedalate interminabili in mezzo a un paesaggio piatto, monotono e poco attraente non danno alcun valore al viaggio. Comincia ad affacciarsi l’idea di cambiare un programma che ci porterebbe a una pedalata senza senso per altri 600 e più chilometri fino a New Delhi.
Improvvisamente compare Ali. Si accosta alle nostre sedie, rimanendo in piedi accanto a noi, come se volesse partecipare alla conversazione. Lo guardiamo stupiti, pensando che voglia comunicarci qualcosa. Non è così. Se ne sta muto e attento ad ascoltare una lingua di cui certamente non capisce nulla. Mi preoccupo che le volute di fumo del mio toscano non arrivino né al povero raffreddatissimo Carlo, né investano l’imperturbabile Ali, estemporaneo ascoltatore del nostro dialogo. Carlo e io ci rituffiamo nei nostri ragionamenti, ignorandolo e proseguiamo nelle nostre considerazioni. Trascorrono una decina di minuti; Ali è sempre in piedi e noi ci siamo quasi dimenticati della sua presenza. Improvvisamente il ragazzino se ne esce con un rotondo, roboante, sonoro rutto baritonale, lasciandoci allibiti. Non possiamo trattenerci dal ridere. Lo guardiamo e lui, impassibile, risponde allo sguardo con il suo occhio dritto, senza espressione e l’altro perso nel firmamento indiano. Riprendiamo a chiacchierare. Dopo qualche altro minuto Ali se ne va, silenzioso e imperscrutabile come era arrivato. Termino il mio sigaro e ce ne torniamo in camera. Strano ragazzo.

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