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Ricordo mamma nel venticinquesimo anniversario della morte

Più il tempo passa e più ci si stupisce di quanto il tempo passi. Velocemente.

Oggi è il venticinquesimo anniversario della scomparsa di mia mamma. Quel 21 agosto del 1996 mi sembrava che il dolore mostruoso che sentivo dentro non potesse scomparire. Ero giovane io e soprattutto era giovane lei: appena 73 anni.
Oggi mi sto già avvicinando a quell'età; mi basta un altro passettino e i miei 73 sono lì. Questo mi fa capire quanto giovane fosse lei perché io, ingenuamente, mi sento ancora tale.
Eppure allora la guardavo con gli occhi di un figlio e come tutti i figli non vedevo i genitori con l'età che hanno. I genitori sono senza tempo. Io in quel 1996 avevo 46 anni, da quando ero nato ero abituato a guardare il volto della mia mamma e vederlo sempre identico: sempre bella, sempre senza età, sempre immutabile, sempre lo stesso viso tenero e sorridente che mi aveva accompagnato nei miei decenni di vita. Però anche per lei gli anni erano trascorsi inesorabili. Dai 27 che aveva quando mi ebbe, ai 73 finali, passando per i 30, i 40, i 50, i 60 e poi i 70 che avevamo festeggiato quando quell'ultima boa era stata sorpassata.

Lei cambiava, invecchiava e per me era sempre uguale: lo stesso faro di luce che guardandolo e facendomi guardare mi tranquillizzava, mi trasmetteva una pace interiore che mi era indispensabile, anche quando ero ormai giunto all'età matura.
Il volto della mia mamma. Illuminato di gioia quando osservava il suo Marco e la sua Gabriella che lei definiva il meglio avesse fatto nella vita.
E così sono trascorsi 25 anni. L'esistenza è crudele: ti infligge dolori tremendi, ma è anche compassionevole, perché ti consente di superarli e di metabolizzare quanto di più assurdo esista: perdere la persona cara e, nel caso della madre, la più cara di tutte per un figlio.
Ho ripreso a lavorare, mangiare, bere, dormire, divertirmi, correre a vuoto, agitarmi, rasserenarmi, piangere e ridere, anche senza di lei.

Adesso, mentre la sto ricordando in questo melanconico anniversario della sua morte, mi accorgo di quanto sia ancora dentro di me, di quanto io ancora viva alla luce di cui mi irraggiava.
Ripenso quando veniva a svegliare lo studente che ero allora. Ritrovo la dolcezza con cui sapeva aprirmi gli occhi al nuovo giorno, preoccupandosi che iniziasse con una nota di gentilezza.
Assemblando insieme ironia e poesia recitava a me ancora addormentato un verso di De Amicis che, chissà perché, l'aveva colpita, e mi propinava come viatico per la giornata.
"È l’alba, figlio mio! Sorgi e lavora!"

Grazie mamma, tu hai fatto quello che tante, forse tutte, le mamma fanno. Ma da 25 anni a me sembra che tu abbia fatto di più.

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