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Un grande figlio della Brianza (racconto completo)

Non sono brianzolo (forse si dovrebbe dire brianteo), ma dalla Brianza sono stato adottato talmente tanti anni fa che preferisco glissare. Di questa terra d’adozione mi piace tutto e di ricordi ne avrei a tonnellate, a cominciare da quelli delle mie due figlie che qui sono state piccolissime, sono cresciute e oggi mi hanno anche reso nonno, sempre in questa regione meravigliosa. Ricordi belli o bellissimi, perché quelli brutti sono pochi, per fortuna, e quei pochi li cancello.
Una delle memorie più fulgide è l’incontro con un grandioso brianzolo (o brianteo?) che forse la sua Patria non celebra abbastanza, a dispetto della sua statura di scrittore e intellettuale di livello mondiale.
Ma andiamo con ordine e lasciate che racconti come la mia vita ha intersecato la sua.
Fin dall’adolescenza a Domodossola, dove sono nato, era prassi andare in libreria ad acquistare il regalo per mio padre. Più che dopobarba o golfini a lui erano graditi dei buoni libri che leggeva con attenzione e gusto, spesso approfondendo gli argomenti che l'avevano interessato maggiormente.
In uno dei primi anni '80, mi recai dal solito libraio della mia città per il regalo di una qualche ricorrenza. Mi piaceva quel compito: il negoziante era competente e appassionato, sapeva consigliare e spesso sconsigliare questo o quell'autore. Conosceva benissimo papà e i suoi gusti, condividendo con lui la passione per gli alpini, corpo nel quale entrambi avevano militato.
Quel giorno mi suggerì un romanzo uscito da poco: "Il Cavallo Rosso" di Eugenio Corti, un autore lombardo, brianzolo, che aveva pubblicato una corposa opera la quale, secondo lui, era ideale per mio padre. Mi disse essere un bellissimo racconto imperniato sulla Brianza e le sue genti, sulla guerra in Russia, sulla resistenza, con molte pagine dedicate all'Ossola e ai suoi partigiani. Ce n'era abbastanza per appassionare mio padre e lo acquistai.
Papà lesse le oltre mille pagine e ne fu entusiasta. Mi parlava di come riconoscesse le descrizioni della campagna di Russia riscontrandole con i racconti dei suoi amici che vi erano stati e con i numerosi libri che aveva letto sull'argomento. L'apice dell'entusiasmo l'aveva raggiunto nei capitoli sulla resistenza ossolana. Lì si sentiva protagonista. I luoghi e i personaggi gli erano familiari. Ascoltai con paziente sufficienza i riassunti che mi faceva sulle vicende del libro in Val d’Ossola, condendole e intersecandole con le sue stesse esperienze. Quella volta proprio non riuscì ad arginare il suo entusiasmo. Ero incuriosito da "Il Cavallo Rosso", ma allora non ebbi l'occasione di leggerlo.
A quel tempo abitavo già in Brianza e un giorno mio padre, venuto a trovarmi, mi annunciò trionfante che aveva scovato telefono e indirizzo di Eugenio Corti (non so come fece, allora non c'era internet). Lo scrittore abitava a Besana Brianza, a pochissimi chilometri da casa mia. Papà telefonò, prese appuntamento e andò a fargli visita, tornando ancora più infervorato.
Passarono molti anni; nel 2001 mio padre morì. Io ereditai tutti i suoi libri e, tra questi, "Il Cavallo Rosso". Lo misi sullo scaffale in bella vista ripromettendomi di leggerlo. Passarono ancora due anni e, finalmente, lo presi in mano. La storia di Ambrogio, Michele, Manno, Alma, Olimpia e gli altri ragazzi del romanzo mi affascinò subito. Nelle pagine che divoravo incontravo qua e là annotazioni di mio padre. Le vicende di quella generazione, travolta dalla guerra e dalla lotta partigiana, mi avvolgevano con una vivacità e una profondità degna di Tolstoj a cui, scoprii dopo, il Corti era stato accostato a ragion veduta. Il racconto era lungo, abbracciando trent'anni di storia, e, terminato, avvertii lo smarrimento che si prova quando una narrazione si conclude e ci si accorge di averla vissuta emotivamente come se i personaggi fossero amici conosciuti da sempre. Con "Il Cavallo Rosso" avevo percorso la Brianza, i fronti russi e italiani, avevo attraversato l'Ossola dei partigiani e ne avevo riconosciuto le valli, le montagne, i paesi e la mia Domodossola, ma anche posti vicini a me oggi, Carate, Besana, Monza, le viste sul Resegone e le Grigne. Avevo palpitato per e con i protagonisti, tutta gente di Brianza che avrebbero potuto essere miei vicini di casa, se fossi vissuto in quegli anni. Avevo letto un'opera di grandissima letteratura.
Decisi di ripercorrere il cammino di papà. Cercai telefono e indirizzo di Eugenio Corti (impresa facile con internet). Ero emozionato quando composi il numero e ancora di più quando lo scrittore in persona mi rispose.
«Sono Marco Zuccari» mi presentai, «lei non mi conosce ma...»
«Zuccari di Domodossola?» mi interruppe lui «Quello delle scarpe?»
Rimasi allibito. Come faceva a ricordare mio padre che, in effetti, prima come fabbricante e poi grossista, aveva lavorato nel mondo delle calzature per tutta la vita?
Gli dissi che ero suo figlio e che papà era scomparso due anni prima. Lui mi spiegò che ricordava benissimo quello Zuccari che era stato a casa sua due volte, la seconda delle quali per portargli in regalo un paio di pedule, che mio padre gli aveva promesso nella prima visita. Riconobbi in quel gesto la generosità spontanea e un po' candida di papà. Anch’io gli chiesi appuntamento e qualche sera dopo andai a Besana Brianza. Nel vedere la sua casa riconobbi le ambientazioni del libro, confermando la natura autobiografica del racconto. Mi accolse un bel "giovanotto" (classe 1921 come i ragazzi della sua narrazione), alto, distinto, colto e affabile. Passammo due ore insieme, gli raccontai di papà che dimostrò di ricordare davvero bene. Discorremmo del libro e fui affascinato dal percorrere con l'autore la genesi dei personaggi, delle situazioni descritte, degli eventi di guerra e di vita normale. Fu come scoprire da dietro le quinte il lavoro di un grande autore. Una esperienza unica nella mia vita, condivisa a distanza di oltre venti anni con mio padre che, intuivo, aveva vissuto le medesime emozioni. Un modo meraviglioso di collegarmi al suo essere e alla sua memoria.
Successivamente ebbi l’onore di incontrare ancora Eugenio Corti e ogni volta mi rendevo conto di trovarmi di fronte a un monumento della letteratura, ahimè non apprezzato in Patria quanto lo era nel mondo. Scoprii che era tradotto in trenta lingue e considerato all’estero tra i cinque maggiori autori del Novecento italiano. E da noi? non dico fosse sconosciuto, ma ben lontano da avere la fama che si meritava; spiegarne le ragioni ci porterebbe molto distante e questa sede sarebbe inappropriata. Non mi stupii che, poco prima della sua scomparsa nel 2014, fosse stato candidato al Nobel per la letteratura e, senza ombra di dubbio, non lo avrebbe demeritato.
Eugenio Corti è una figura degna di rappresentare la Brianza, la Lombardia, l’Italia come una bandiera perché i suoi scritti appartengono alla sfera dei capolavori e il magnifico “Il Cavallo Rosso”, da solo, gli potrebbe, anzi dovrebbe meritare l’intitolazione di strade e scuole.
Per fortuna a Besana Brianza, il luogo dove nacque e dove morì, il grande scrittore è un’istituzione. In suo onore è stato tracciato un itinerario in undici tappe denominato “Il Percorso del Cavallo Rosso”, otto delle quali sono all’interno di quel Comune e permettono di vedere con i propri occhi le ambientazioni locali del romanzo.
Dedico la chiusura a mio padre e a quel libraio di Domodossola. Sono riconoscente, infinitamente riconoscente a loro, perché il fortuito acquisto di quel libro mi ha regalato uno degli incontri più preziosi della mia vita: oggi posso affermare che ho dialogato con un colosso, un monumento, un genio assoluto della letteratura italiana e mondiale, il cui “Cavallo Rosso” almeno in Brianza dovrebbe essere in ogni casa.

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