Il battesimo del fuoco
I mortai italiani continuavano a tambureggiare le linee nemi¬che in quota. Presto si sarebbero fermati per non rischiare di col¬pire i propri fanti che, con la massima velocità consentita dalla prudenza e dalla pendenza, salivano all’attacco.
La guarnigione austro-ungarica si difendeva con i fucili spa¬rando verso gli assalitori.
Ugo sentiva l’agghiacciante sibilo delle pallottole vicino a lui. Non era un eroe né lo voleva diventare. Saliva con cautela e ogni volta che un possibile riparo si presentava ai suoi occhi, si affret¬tava a raggiungerlo, fermandosi per tirare il fiato. La sua salita era lenta, così pure quella di Antonio. Quando la protezione gli sem¬brava più sicura, un grosso masso era provvidenziale, si arrestava, imbracciava il 91 e sparava un colpo verso il cielo, a vuoto. Sapeva che, sparando verso il fronte d’attacco, il rischio di colpire uno dei compagni più avanti sarebbe stato elevato. Non gli sarebbe piaciu¬to neppure uccidere uno dei nemici lassù, in alto. Non aveva odio, non aveva esaltazione patriottica, non aveva alcun sentimento che non fosse paura. Non era mai stato così in pericolo in vita sua come in quel momento.
Si ricordò di quando Adele piangendo l’aveva supplicato di tornare vivo. Allora aveva trovato la forza di sdrammatizzare, di volgere in scherzo l’angoscia della ragazza. Le aveva risposto che non sarebbe tornato morto perché sarebbe stato scomodo pren-dere la tradotta da defunto, anche camminare gli sarebbe stato difficile senza essere in vita.
Adele non aveva riso come faceva di solito alle sue facezie, si era limitata a guardarlo supplichevole con gli occhi velati di pianto, di apprensione. Con quel viso rivolto a lui, gli era pas¬sata la voglia di scherzare, anzi in cuor suo non ne aveva affatto. Aveva stretto forte le mani della ragazza, l’aveva guardata serio e le aveva promesso:
– Tornerò sano e salvo, vedrai, Adele. Anch’io voglio tornare per stare insieme a te.
Quelle parole, che allora gli erano sembrate un presentimento positivo, scaramantico, quasi uno scudo protettivo alla sua inco¬lumità, lì, sotto il fuoco degli Austriaci, lungo le impervie salite del Kalarat, era pentito di averle pronunciate. Ognuna di quelle pallottole che gli fischiavano intorno avrebbe potuto ucciderlo in un battito di ciglia, lui non riusciva a trovare in sé la certezza che ciò non sarebbe successo.
Riprese a camminare, a fermarsi, a sparare verso il cielo, a proteggersi dietro i massi, ad affrontare la salita, aspettando da un momento all’altro di non esserci più.