La montagna sacra ci accoglie
Finalmente il Tai Shan. La guida lo definisce un museo a cielo aperto. È conosciuto da tempi antichissimi, vi sono reperti archeologici di presenza umana risalente a 6000 anni fa. L’altezza della montagna non è vertiginosa: 1.545 m sul livello del mare. È poco se si compara alle vette delle nostre Alpi a cui siamo abituati, per non parlare del Tibet che i cinesi si ostinano a considerare una loro provincia, dove altezze quattro volte superiori sono normali.
Eppure il fascino di questa montagna non è proporzionale alla sua altezza, ma molto superiore. Il clima contribuisce alla suggestione di questo luogo. È rarissimo, ci avvisa la guida, che la cima non sia avvolta in una nebbia gelida che ammanta tutto come se la sacralità del posto fosse protetta da qualche dio scontroso che non vuole concedere ai mortali la vista della sua casa.
L’origine mitologica delle montagne sacre si rifà al dio Pangu che partendo dal caos decise di creare le cose secondo i principi dello yin e dello yang. Innanzi tutto separò il cielo dalla terra. Questo processo di separazione durò diciottomila anni durante il quale Pangu creò tutto ciò che è su questo mondo.
Alla fine di questo estenuante periodo il dio esplose per la fatica: il suo respiro diventò il vento, la sua voce divenne il tuono, il suo occhio sinistro si trasformò nel sole e il destro nella luna. Il resto del corpo servì per modellare la terra. In particolare le due braccia e le due gambe andarono a formare le altre quattro montagne sacre, mentre la testa di Pangu divenne il Tai Shan, che per questa ragione è considerata la più importante.
Essa è sempre stata tenuta in grande considerazione dai potenti cinesi. Tutto il mondo è paese: il sapiente utilizzo della religione serve a chi governa per condizionare e sottomettere la volontà dei popoli. Basta fare credere ai sudditi che chi comanda è ispirato da un dio di cui ha la benevolenza e il gioco è fatto.
L’imperatore Qin Shi Huangdi dalle pendici del Tai Shan per la prima volta proclamò nel 219 a.C. l’unità di tutta la Cina sotto il suo dominio. Sembra che anche il nome Cina derivi da Qin, ovvero dal nome della dinastia di quel grande sovrano.
C’è una buffa leggenda su questa salita dell’imperatore alla vetta. Sorpreso dalla pioggia lungo il percorso, pare che trovasse riparo sotto quattro pini. Riconoscente (e bizzarro) li nominò ministri. Ancora oggi c’è il posto dove l’episodio, vero o inventato, accadde. Qin Shi Huangdi, primo imperatore della dinastia Qin, fu anche colui che commissionò per il suo sepolcro il celeberrimo esercito di terracotta.
Cotanto personaggio non fu il primo a nobilitare la montagna sacra e a inserirla nei capitoli più importanti della storia cinese: Confucio l’aveva frequentata già trecento anni prima. Tuttavia quel primo sovrano fu uno dei governanti più prestigiosi che cercarono e ottennero una sorta di investitura in questo posto magico, pregno di suggestioni. Da allora si affermò la credenza che nessun re, imperatore e, in generale, capo supremo della nazione poteva ritenersi degno del suo ruolo se prima non era arrivato in cima al Tai Shan.
Neppure Mao Tse Tung seppe e volle sottrarsi a questa tradizione e compì anch’egli il rito millenario, ascendendo la vetta. La storia dice che, ammirando il panorama, pronunciò la frase “L’oriente è rosso” che è rimasta nell’aneddotica del Grande Timoniere.