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Come sono diventato scrittore
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Gli esordi

Ho sempre amato scrivere fin da quando ho preso in mano la prima penna; sono stato un bambino precoce. In seconda elementare la maestra insegnò a me e ai miei compagni a comporre su carta i primi pensierini. Dopo qualche settimana, qualcuno delle classi superiori mi mortificò con sussiego, spiegando che i pensierini sono materia per bimbetti piccoli, i grandi, mi disse, scrivono “temi”.
Mi offesi. Corsi dalla maestra e chiedere che diavolo fossero i temi. Ricordo la spiegazione di quella brava donna: in un tema ci sono tanti pensierini, uno attaccato all’altro, riguardanti uno stesso argomento. Non mi fu chiaro; le chiesi se raccontare una storia fosse un tema. Sorrise e mi rassicurò che sì, in qualche modo una storia lo era e un tema poteva essere una storia.

In un tema ci sono tanti pensierini, uno attaccato all'altro, riguardanti uno stesso argomento

Le annunciai che, se non avesse avuto nulla in contrario, avrei scritto un tema e con il suo perplesso consenso mi tuffai a capofitto nell’impresa. Mi ci volle un bel po’ di tempo; quando in classe scoccava l’ora dei pensierini, prendevo il quaderno e proseguivo dal punto in cui avevo terminato il giorno prima, e così per diversi giorni di fila. Un mattino, speranzoso e ansioso, annunciai alla sbigottita insegnante che avevo terminato il “tema” e le consegnai una strampalata   storia  di castelli,  di madri e padri  con  figli   disubbidienti  e 

obbedienti, con vicende che nella mia mente infantile erano buffe e tragiche, ma non volli arrivare a un lieto fine scontato; misi a morte (non ricordo come) i miei protagonisti, sinistramente influenzato dalle opere liriche che mio padre, appassionato, mi insegnava ad amare. Lì il lieto fine era quasi sempre assente e io imitai.

Difficile oggi per me valutare la valenza di quel primo ingenuo tentativo di scrivere, ma sicuramente la maestra ne fu impressionata, ne parlò ai miei genitori e quella eccentrica esperienza della mia infanzia divenne un aneddoto ricorrente nei ricordi dei miei genitori e miei.

Molti anni dopo

Nella vita non feci mai lo scrittore di professione, ma non smisi mai di comporre “tanti pensierini, uno attaccato all’altro, riguardanti uno stesso argomento”. Erano articoli di giornali, lettere, testi affidati a un cassetto per mio piacere e mia memoria, monografie, relazioni inerenti alla professione di consulente industriale. Di tutto, ma mai libri.

Quasi alla fine della carriera professionale avvenne la svolta: un bizzarro viaggio in India con altri quattro amici per andare in tre settimane da Varanasi, città sacra sul fiume Gange, fino a New Dehli, pedalando in bicicletta, e non per la via più retta ma deviando fino al deserto del Rajasthan, mi diede lo spunto prezioso per scrivere il mio primo libro. 

Nacque La ferocia della capra, racconto semiserio delle vicende di quell’epica (per noi) impresa, in cui di avventure belle e inquietanti, comiche e serie, divertenti e preoccupanti, suggestive e illuminanti, ne capitarono a bizzeffe.

La Ferocia della capra, racconto semiserio delle vicende di un’epica impresa in India

Bicincina, racconto di millequattrocento chilometri, tra Pechino a Shanghai, ancora in bicicletta

Un anno dopo lo stesso gruppo di amici collezionò la seconda spedizione, questa volta in Cina per affrontare ancora in bicicletta il severissimo percorso tra Pechino a Shanghai, millequattrocento chilometri da percorrere pedalando sotto il dardeggiante sole di luglio. Ne uscì il mio secondo libro, Bicincina, che mi diede la sicurezza di potercela fare a diventare uno scrittore a pieno titolo, a prescindere dalla tiratura dei miei lavori.

Il romanzo storico

Cominciai a vergare pagine su questo progetto, prima dei due viaggi ciclistici in Asia. La scrittura, la pubblicazione e il lancio de La ferocia della capra e Bicincina sospesero la stesura del romanzo storico, ma non sopirono mai in me la determinazione a realizzare quanto avevo in animo: avrei tradito me stesso e il narratore che sentivo e sapevo di essere.

Ancora prima che i viaggi mi stimolassero i primi due libri, un progetto era nelle mie corde segrete: raccontare le vicende di una famiglia piemontese della media borghesia, attingendo ai ricordi della mia stessa famiglia e non solo. Volevo narrare più vicende, con più personaggi, intrecciate con la Storia d’Italia, che negli anni centrali del ‘900 fu sconvolta da eventi anche tragici, ma non volevo rinunciare a scolpire le personalità dei protagonisti del libro, attraverso amori, passioni, scontri, con miserie e grandezze di tutti gli esseri umani.

Volevo narrare più vicende, con più personaggi, intrecciate con la Storia d’Italia

Grazie a Edizioni Intrecci, la casa editrice che mi incoraggiò nell’opera, arrivai a pubblicare la prima parte del mio romanzo storico: Come un servo infedele

Scrissi per molti anni finché, anche grazie a Intrecci Edizioni, la casa editrice che mi incoraggiò nell’opera, arrivai a pubblicare la prima parte del mio romanzo storico: Come un servo infedele. Spezzare in due il libro fu una scelta di buon senso. Le vicende legate al primo conflitto mondiale rappresentavano un grande capitolo a sé nella saga della famiglia Succhiero, la protagonista del lavoro; potevo incuriosire già con (circa) metà dell’opera tantissimi lettori e, dal mio punto di vista, avere conferme sulla bontà della mia intuizione letteraria.

Il lavoro fin da quei primi capitoli doveva piacere e reggersi con la dignità di una trama completa, sia pure con aperture a un proseguimento. Così è stato; il primo libro ha avuto consensi di lettura più ampi delle mie aspettative. Non mi restava che proseguire a oltranza per completare il secondo volume. 

Come un servo infedele – La seconda generazione andò trionfalmente (per me) in stampa. 

Quando ebbi in mano Come un servo infedele-La seconda generazione, quel condensato di mie parole e mie emozioni, fu una soddisfazione unica nella vita

Quando ebbi in mano quelle pagine, quella copertina, quel condensato di mie parole e mie emozioni, fu una soddisfazione unica nella vita: avere portato a termine un progetto che mi coinvolgeva su ogni piano della vita: artistico, culturale, affettivo, familiare. Anche professionale, perché dopo i due Come un servo infedele, sentii che potevo finalmente considerarmi uno scrittore vero. 

Avevo compiuto una promessa, mai espressa né a voce né per iscritto, che vincolava il bambino con il tenero innocente desiderio di lasciare il pensierino per decollare con il tema.
Missione compiuta!

Altri libri

La mia carriera di Autore si è arricchita di quattro altri libri che è giusto menzionare.
Il primo è
Racconti a colori, il quale curiosamente nasce tra la pubblicazione di Come un servo infedele e Come un servo infedele – La seconda generazione.
Nella mia foga di scrivere a ogni occasione, avevo collezionato una serie di racconti ironici, spesso buffi, a volte comici sul mio vissuto con i miei cani, ma anche in situazioni di bonaria competizione ciclistica oppure alle prese con personaggi pittoreschi.

 

Una lettrice di questa produzione atipica un giorno mi lusingò con un commento intrigante: «Tu racconti le vicende in un modo così vivace che sembrano a colori, perché non ne fai un libro?»
La proposta cominciò a mulinarmi nella testa e in breve, ancora complice Intrecci Edizioni, divenne realtà: nacque
Racconti a colori.
Quanto amo questo libro? Rubo il concetto a Domenico Modugno che diceva “le canzoni sono come figli”, non si può amare uno più degli altri.

 

Racconti a colori: tu racconti le vicende in un modo così vivace che sembrano a colori, perché non ne fai un libro?

Racconti a colori è un volume piccolo, non mi è costato fatica perché è nato nel tempo, scrivendo piccole storie quasi senza accorgermene, ma è anche lui…sangue del mio sangue, e io lo amo, quanto e come si ama il cucciolo di casa.

La mia collezione di titoli in cui compare il mio nome come Autore include altre tre pubblicazioni, in cui l’iniziativa editoriale fu di altri, non mia, ma io venni coinvolto a fare parte di un cast di scrittori chiamati a concorrere ad un’opera, in cui ognuno doveva scrivere un pezzo in tema con lo scopo del libro.

Il primo di questi è Racconti dall’appartamento, nato da un’iniziativa di Lucia Pasquini, Direttrice di Intrecci Edizioni, che chiese a ventidue scrittori di raccontare qualcosa inerente al famigerato lockdown, causato dal tremendo Covid-19. In quel momento eravamo tutti vittime di quella segregazione forzata; scrivere un racconto dalla prigione del proprio appartamento, come recita il titolo, sembrava una sfida meritevole di essere accettata. Il mio nome è tra quegli Autori.
 

 Racconti dall’appartamento: ventidue scrittori raccontano storie nate nei propri appartamenti durante il lockdown

Il secondo libro si intitola Brianzoli per sempre, una raccolta antologica di episodi e personaggi della Brianza, raccontati da ventiquattro Autori nati o abitanti in Brianza. Loretta Molinari, la curatrice dell’Antologia per Edizioni della Sera, mi invitò a partecipare e io, con gratitudine, accettai.

Brianzoli per sempre: storie, personaggi, curiosità della Brianza, scritte da chi è nato o vive in Brianza

Il terzo libro in cooperazione è ancora figlio della fertile mente di Lucia Pasquini. Un giorno assegnò venti lettere dell’alfabeto ad altrettanti autori della sua scuderia. Ognuno era incaricato di sviluppare un racconto inerente alla lettera avuta in sorte, optando per una o più parole inizianti con la lettera stessa. Il libro, brillante come la fantasia di Lucia, nacque e, opportunamente, si intitola Alfabeto dei ricordi.

Alfabeto dei ricordi: ogni Autore di venti ha una lettera dell’alfabeto, ogni lettera uno spunto per un racconto

La lettera che fu assegnata a me è la elle, lo spunto che ebbi da questo inusuale incarico mi pare degno di nota. Ai lettori la sentenza.
 

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Scrittore o narratore?

Io mi considero scrittore? 
Sì, ma più propriamente amo definirmi un narratore.
Essere scrittori o narratori non è la stessa cosa. Il mio scrivere è sempre improntato al raccontare, al narrare; la narrazione non può e non deve essere fredda, asettica, perché in quel caso si è dei cronisti, o degli storici, non dei narratori. 

 

Quindi il narratore inventa? 
No, non nel mio caso. Bisogna distinguere tra fantasia e immaginazione. Non sono portato per architettare storie fantastiche, ma so immaginare scorci di vita che non ho vissuto. Nel mio romanzo storico,
Come un servo infedele, primo e secondo volume, spessissimo mi sono trovato a descrivere scene, situazioni, avvenimenti di cui conoscevo pochi o nessun dettaglio.

Il mio scrivere è sempre improntato al raccontare, al narrare

Ricostruire quello che verosimilmente è successo, appartiene alla sfera dell'immaginazione, non a quello della fantasia

Ricostruire quello che verosimilmente è successo, appartiene alla sfera dell'immaginazione, non a quello della fantasia. Molte volte mi sono trovato a descrivere un episodio e, come una magia che stupisce anche me stesso, era come se nello sviluppo dell'azione fossero i protagonisti a muoversi e animarsi, come in un film di cui fossi spettatore. Così nascevano dettagli che mi registravo e scrivevo. Un esempio? Ugo, uno dei protagonisti principali del libro, si trova ad assistere a un incidente tragico, con protagonista un ragazzo. Il padre del giovane è presente alla scena crudele. Nella mia mente, mentre scrivevo, si materializzò lo sgomento di Ugo, il suo avvicinarsi al padre del ragazzo e posare una mano sulla spalla dell'uomo per dare conforto. 

La scena che descrivo nel libro è avvenuta veramente, ma io non ero presente e dovevo tradurla in parole in modo da interessare e fare provare sentimenti di compassione, partecipazione, dolore ai lettori. Come potevo descrivere i particolari, addirittura decidere quali piccoli gesti, quali emozioni narrare e quali altri ignorare, come ininfluenti al racconto? A me succede, e so che ad altri Autori capita lo stesso stupefacente fenomeno: la scena si anima nella mente, come un film che si proietta dentro di me, quasi che io non possa fare nulla né per deviarlo né per fermarlo. È come se i personaggi che sono nelle pagine che sto scrivendo, si materializzassero dentro di me, agendo come forse (chi può saperlo?) agirono in quella situazione al tempo in cui l’episodio accadde. Io, spettatore passivo di quanto avviene, descrivo ciò che vedo, ciò che colpisce me e che solo più tardi arriverà al lettore.

Così io vidi la mano di Ugo poggiarsi sulla spalla di quel padre affranto e poi subito vidi un piccolo moto di fastidio, rispettoso e appena accennato, dell’uomo che non gradiva il gesto, pur espresso con pietà e partecipazione. Fu un piccolo irrigidimento che io tradussi sulla carta, sapendo che quel gesto non era inventato da me, ma nato dall’azione scenica interna alla mia mente, come se fosse stato il personaggio a muoversi così, dettandomi visivamente il gesto.

La scena si anima nella mente, come un film che si proietta dentro di me, quasi che io non possa fare nulla né per deviarlo né per fermarlo.

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Più tardi ho riflettuto molto su questo esempio e su altri analoghi e ho compreso la differenza tra fantasia e immaginazione, tra scrittore e narratore. È quest’ultimo che assiste alla scena che deve raccontare e nel mentre la scrive.
È una capacità che riconosco di avere, come un dono che ho ricevuto e fa parte del mio essere. Quando un lettore mi dice di apprezzare nella mia scrittura la capacità di fare sentire chi legge vivo e presente in ciò che sto raccontando, mi sta riconoscendo la qualità che più mi inorgoglisce: sapere narrare. 

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