Ieri è mancato l'amico Piero Peretti, compagno di teatro e... mio gemello, come scherzosamente ci definivamo noi: stesso anno di nascita, lui Infuriano le polemiche sul comportamento degli azzurri in occasione dell'inginocchiamento fatto/non fatto per solidarietà all'antirazzismo.
Vorrei esprimere il mio parere, certo che non sarà né più stupido né più intelligente dei mille che si leggono e sentono in giro.
Una premessa: l'Italia è razzista!
È un dato di fatto, prescinde persino dall'orientamento politico. Cosa vogliamo pretendere da uno Stato che non è mai stato nazione? Fino a un paio di secoli fa l’Italia era un assembramento di staterelli in lotta perenne tra loro. Spesso la sovranità era limitata a un singolo comune in cui gli abitanti consideravano perfidi alieni quelli della città confinante.
Poi Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele e Mazzini crearono (si fa per dire) l’Italia, ma dimenticarono di creare gli italiani.
Da allora nulla è cambiato. A Modena stanno antipatici i bolognesi, cordialmente ricambiati da questi. Ai romagnoli fate un affronto se li chiamate emiliani e viceversa. Roma si ritiene superiore al resto d'Italia e tutti gli italiani non sopportano i romani. E così via.
E non ho menzionato la "benevolenza" che da sempre caratterizza i settentrionali per i "terroni".
Negli anni del dopoguerra li chiamavano invasori, profittatori, lazzaroni, delinquenti. Dicevano che le carceri del nord erano piene esclusivamente di meridionali.
Tutte espressioni che, immutate, riecheggiano oggi verso i migranti. Nulla è cambiato. Neppure il bersaglio, perché ancora adesso i "terroni" rimangono tali, semplicemente il razzismo si è allargato e colpisce anche chi viene dal terzo mondo, senza esentare i meridionali da essere comunque vittime di avversione viscerale.
Però c'è una novità. Questo clima razzista ha contagiato chi fino a ieri (e anche oggi) era bersaglio. È sconvolgente, e sarebbe ridicolo se non fosse tragico, constatare che i meridionali sono tra i primi ad accanirsi contro africani, islamici, sudamericani, in un razzismo di rimbalzo.
Ancora più assurdo è sentire rumeni e albanesi, già in Italia da molto tempo, inveire contro "l'invasione" di neri e arabi. Roba da matti!
Sembra quasi che il virus del razzismo, ancestrale nel Belpaese, aggredisca e contagi chiunque ci abiti.
Una ragione di questa deriva tragica è l'assenza di cultura. Recentemente l'Italia è stata giudicata la nazione più ignorante d'Europa. È spaventoso!
Ma 50 o 100 anni fa eravamo più colti?
Certo che no, ma cultura non è solo conoscere la Storia, l'Italiano o la matematica, cultura è anche ammirare e rispettare chi le conosce.
60 anni fa il maestro Manzi (chissà chi se lo ricorda?) in televisione insegnava a leggere e a scrivere agli analfabeti. "Non è mai troppo tardi" era l'azzeccato titolo della trasmissione. Il buon maestro era ammirato e rispettato da tutti. Oggi verrebbe schernito e considerato ebete; Crozza ne farebbe una macchietta e tutti ne riderebbero, anche quelli - e sono molti - che avrebbero bisogno delle sue lezioni anche ora.
Questa è ignoranza. È la mancanza di rispetto per la cultura, non l'assenza di essa che fa dell'Italia un povero Paese.
In questo terreno il razzismo, che qui è di casa da millenni, prospera e cresce.
In questo contesto vorremmo che i calciatori ci insegnassero l’antizazzismo con una genuflessione simbolica? In un'Italia come questa si discute se sia meglio avere i ragazzi di Mancini tutti in piedi o inginocchiati o mezzo e mezzo? Ma per piacere!
L'Italia rimarrà razzista ancora a lungo. Ci vorranno generazioni per sconfiggere questa piaga e dubito che i miei figli e nipoti faranno in tempo a vedere attecchire il credo nella uguaglianza tra i popoli. Quando quel giorno verrà sarà sconfitta l'ignoranza, progetto che non sembra interessare alcun governo, né di sinistra né di destra (figuriamoci!). Né possiamo contare sulle religioni che fisiologicamente poggiano e prosperano sulla non cultura.
E allora? Continuiamo così. Alla nazionale di calcio chiediamo che faccia goal senza prenderne e non che dia lezioni di antirazzismo a un'Italia che di razzismo è intrisa.
La notizia del giorno è che Jorge Mario Bergoglio, in arte Papa Francesco, ha commesso un atto di ribellione (consapevole? mah!?) contro le disposizioni del Governo Italiano, invitando i propri sacerdoti a recare ostie per il sacramento della Comunione ai fedeli che lo richiedessero, stante il divieto di celebrare messe. Divieto, sia chiaro, accolto di buon grado e con spirito collaborativo dalle autorità cattoliche.
Il Pontefice si è forse dimenticato che le Autorità italiane proibiscono di andare in giro per l’altissimo rischio di contagio? Possibile che abbia ignorato come un prete, a spasso per città, paesi e campagne, a contatto con fedeli anelanti a comunicarsi, potrebbe essere un formidabile veicolo di virus?
Papa Bergoglio ha una curiosa peculiarità: assomma estimatori e detrattori più o meno in ugual misura tra credenti, anticlericali, fedeli di altre confessioni, anti vaticanisti, persino atei e agnostici. C’è chi ne parla bene, addirittura benissimo (qualcuno lo considera in odore di marxismo!) e chi lo critica aspramente; ognuno di loro può appartenere indifferentemente a qualsiasi pensiero religioso oppure anti religioso.
Stranissimo, no?
Ciò mi spinge a una carrellata sui papi del passato, partendo da quello che ho conosciuto nei miei anni giovanili: Giovanni XXIII, il papa buono, quello dell’”andate a casa dai vostri bambini, date una carezza e dite: ‘questa è la carezza del Papa!’”.
Giovanni XXIII era benvoluto pressoché da tutti, credenti e non, persone pro Chiesa e persone contro. Un caso unico.
Il suo successore, Paolo VI, era in odore di omosessualità, le cronache segretissime narravano di un suo rapporto amoroso con un noto attore di nome Paolo. In suo onore il Papa avrebbe assunto il proprio appellativo di pontefice. Come si fa ad essere pro o contro di lui? Meglio sospendere il giudizio per non incorrere in accuse di omofobia.
A Paolo VI seguì Giovanni Paolo I, il povero papa Luciani che regnò sulla cattedra di Pietro solo trentatré giorni, poi tolse il disturbo. C’è chi dice che fu un infarto e altri che insinuano una cortese velocizzazione del suo ritorno al Padre, procacciata dall’avere lui messo le mani in qualche nido di vipere che doveva rimanere segreto. Di Giovanni Paolo I, non si può dire se sarebbe piaciuto o no e a chi. Troppo corto il suo magistero.
Il successivo Giovanni Paolo II, il papa polacco, separò nettamente i giudizi: idolatrato dai credenti, avversato e odiatissimo dagli altri, che gli rimproveravano persino imbarazzanti contiguità con i dittatori del suo tempo, Pinochet in testa.
Arrivò quindi il papa tedesco, Joseph Aloisius Ratzinger, che assunse il soave nome di Benedetto XVI. Anche lui collezionò un primato: stava antipatico a tutti, credenti e non. Una unità di vedute che non si registrava fin da Giovanni XXIII, però di segno opposto. Una tale antipatia in stereofonia non poteva restare inascoltata: sette anni fa Ratzinger venne dimissionato per vecchiaia e precarie condizioni di salute; infatti, dopo sette anni è ancora lì vivo e vegeto che si gode la meritata pensione.
E arriviamo a Bergoglio, il nostro attuale Pontefice Massimo.
Vedete? Abbiamo tutti i casi possibili in un calcolo combinatorio: il papa apprezzato da tutti, quello odiato dai non credenti e amato dai fedeli, e, infine, quello che stava sulle scatole a ogni categoria, di qui e di là.
Bergoglio è un inspiegabile mix disomogeneo di biasimo e consenso, provenienti a casaccio da fedeli e non, da vaticanisti e mangiapreti, da bigotti e non praticanti, da conservatori e da progressisti. In ognuna di queste categorie si può trovare chi ama il papa argentino e chi lo odia.
Buffo, no?
E poi lui, serafico, ti fa una gaffe come quella delle ostie potenzialmente con il Coronavirus mischiato al corpo di Cristo. Ma pensa te!
Rimane il mistero perché piaccia e non piaccia a destra a manca. C’è un perché?
E se fosse che piace o no, a casaccio, perché è un po’ strambo?