Il mio contributo al libro
Nell'animo dei calciofili italiani e non quell'anno rimane legato a un evento sportivo, pietra miliare nella storia del calcio italiano.
Fu l'anno dei mondiali di calcio giocato in Messico a cui la nostra nazionale partecipò sull'onda di un entusiasmo notevole.
Non immotivato, visto che nelle nostre file militavano campioni come il mitico Gigi Riva, i "gemelli/nemici" Rivera e Mazzola e poi i vari Boninsegna, Domenghini Albertosi e altri calciatori di ottima classe.
Gli esordi furono poco brillanti, superammo a stento il girone eliminatorio. Fummo bravi nei quarti di finale contro il Messico, padrone di casa, che eliminammo con un convincente 4 - 1. In semifinale ci attendeva la Germania, uno squadrone temibile, il cui alfiere era il "mitico" Franz Beckenbauer, non solo un giocatore, ma un'icona del calcio mondiale.
Tutta l'Italia attese con trepidazione il 17 giugno, un mercoledì, giorno in cui la grande partita avrebbe avuto luogo.
In quel periodo io ero ospite a Milano di un Centro Universitario, un convitto per studenti bisognosi e meritevoli, che venivano ospitati gratuitamente grazie alla beneficenza della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. Perché io ero là? Che fossi bisognoso non ho dubbi, sul meritevole qualcuno sì.
Eravamo un centinaio di ragazzi (tutti maschi), l'attesa per la partita era spasmodica.
Venne attrezzata una sala di visione nel locale mensa. Il televisore non era uno di quelli odierni a colori con non so quanti pollici; il nostro era in bianco e nero e l'ampiezza credo che al massimo si misurasse in mignoli. Non esisteva nulla di meglio e ci assiepammo attorno all'apparecchio, facendo da subito un assordante tifo da stadio.
Tra i miei compagni di convitto ricordo un certo Andreolli proveniente da Bolzano; non rammento più il nome, ahimè. Era un ragazzone gioviale e simpatico con un irrefrenabile gusto per contraddire chiunque gli stesse intorno. Non credo avesse una squadra del cuore; a lui bastava che ce l'avesse qualcun altro per scatenare la sua verve polemica, facendo imbestialire il malcapitato che gli avesse dato corda.
Un altro personaggio che ricordo era Beppe. Di lui non so più il cognome; non me ne vergogno, visto che sono passati quarantasette anni, porco giuda!
Beppe era figlio di contadini della bassa lodigiana, era magro, segaligno e scattante come una molla. Si ammantava delle sue umili origini come un vanto provocatorio. Parlava insistentemente il dialetto delle sue parti, a sottolineare le radici popolane.
Beppe era incorruttibilmente, fanaticamente, tenacemente, pervicacemente milanista.
Per Andreolli un tipo così era un "invito a nozze". In tre, quattro nanosecondi riusciva a farlo imbufalire, gli bastava qualche salace commento sull'intoccabile Rivera oppure giudicare, a modo suo, l'ultima partita del Milan, indifferente che questo avesse vinto, perso o pareggiato. Beppe abboccava sempre e dopo un attimo le sue urla in dialetto si udivano a isolati di distanza, con enorme gusto e compiacimento dell'imperturbabile Andreolli.
Quel 17 giugno si sedettero a poca distanza l'uno dall'altro.
La partita iniziò e prima ancora che i giocatori avessero iniziato a sudare si erano già accesi numerosi scontri verbali su questo o quel giocatore. Andreolli era sempre al centro delle provocazioni.
Nei primi minuti tutti eravamo in ansia, la fortissima Germania era aggressiva, ma i nostri non si comportavano male. L'Italia fu subito insidiosa con la coppia Riva Boninsegna a tenere in apprensione anche la "colonna" Beckenbauer.
Dopo pochi minuti, l'incredibile: Boninsegna portò in vantaggio i nostri. Da non crederci! Saremmo riusciti a resistere agli assalti furibondi dei nostri avversari?
Andreolli imperversava. Riusciva a innervosire anche i più pacati di noi, sparacchiando giudizi offensivi su questo o quel giocatore italiano, assecondando il suo gusto polemico. Spesso i suoi commenti colpivano i milanisti e Beppe era teso come una corda di violino; reagiva con colorite espressioni. Uno spasso... in un altro momento.
Alla fine del primo tempo il risultato non era mutato: l'Italia in vantaggio di un goal. Valcareggi, l'allenatore, nell'intervallo sostituì Mazzola con Rivera, mossa che aveva già avuto ottimo esito contro il Messico.
I commenti gratuiti di Andreolli misero a serio rischio le coronarie di Beppe. Iniziò il secondo tempo. Urla, insulti, patemi, apprensioni, scampati pericoli, ma l'Italia resistette fino all'89esimo. A un minuto dalla fine eravamo ancora in vantaggio. Un misero minuto e avremmo vinto la partita, accedendo alla finale.
Al novantesimo avvenne l'irreparabile. Schnellinger, roccioso difensore tedesco, guarda caso giocatore del Milan, segnò il goal del pareggio.
Fu una mazzata terribile per tutti. Per Beppe fu una tragedia nella tragedia. Il "suo" Schnellinger aveva compiuto il misfatto, segnando il più beffardo dei goal.
Andreolli si avventò sull'episodio come un cobra su un topolino. Fu impietoso nell'inveire, insultare, maledire il Milan e tutti i milanisti. Beppe, ammutolito, esibiva in viso tutti i colori dell'arcobaleno, mentre Andreolli lo sotterrava di improperi.
Andammo agli ineluttabili tempi supplementari con lo stato d'animo di manzi portati al macello.
Dopo cinque minuti i timori si concretizzarono. Muller, il rapinoso centravanti tedesco, segnò il goal del 2 a 1 che ci condannava.
Neppure il tempo di piangere che l'Italia eroicamente pareggiò con Burgnich: 2 a 2. La partita non era più un piacere, ma un sottile perfido supplizio.
Il tempo si prendeva gioco di noi. Passava velocissimo oppure si fermava a seconda dell'altalena dei risultati. Una fiammata e Riva, il gigante Gigi Riva, segnò il goal del 3 a 2. Esultanza alle stelle. Non ci prendono più! Errore. Pochi minuti dopo Muller, il solito maledetto Muller, segnò il pareggio, 3 a 3.
Il goal fu una beffa clamorosa. Il tiro vincente del giocatore tedesco passò sotto le gambe di Rivera, appostato sulla nostra linea di porta nel cercare una goffa, vana difesa. Rivera, il vanto, il beniamino, il profeta di tutti i milanisti aveva commesso un errore da principiante, lasciando passare un pallone che avrebbe dovuto e potuto intercettare a occhi chiusi.
Andreolli fu un carnefice. Insultò Rivera, i milanisti e tutto il parentado del giocatore, risalendo fino alle generazioni più remote. Beppe, in preda a un collasso cardiocircolatorio subiva gli affronti di Andreolli manifestando un preoccupante stato convulsivo.
Non c'era più tempo per gli insulti, la partita era agli sgoccioli. Poi il colpo di scena. Un'ultima disperata azione dell'Italia, Bonisegna nell'area avversaria a seminare il panico, un repentino passaggio a Rivera e questi, con freddezza da grandissimo campione quale era, insaccò il goal del 4 a 3 finale, pochi secondi prima che l'arbitro dichiarasse finalmente conclusa la tenzone. L'Italia aveva incredibilmente vinto una partita destinata giustamente a passare alla storia.
La nostra non fu esultanza, fu un baccanale esplosivo. Gente che urlava, gente che saltava, gente che piangeva, rideva, ululava.
Andreolli si mise a danzare come l'orso di un saltimbanco. Saltellava su una gamba e poi sull'altra, muovendo disarticolatamente le braccia.
Beppe era balzato paonazzo dalla sedia. Dopo avere urlato come un ossesso si voltò con sguardo omicida verso Andreolli.
Io, mi riscossi dal tripudio e guardai preoccupato la scena. Beppe si avventò verso il bolzanino, con le mani protese a uccidere.
Andreolli, ignaro di vivere gli ultimi cinque secondi della sua esistenza, continuava a ballare come un plantigrado. Beppe si slanciò a mani in avanti con sguardo assassino. Andreolli vide quelle braccia che lo avvicinavano. Il suo viso estatico era ancora plasmato dall'esultanza incontenibile che lo avvinceva.
Allargò a sua volta le braccia e cinse di slancio l'aggressore con affetto fraterno. Si trovò viso a viso con Beppe e gli schioccò un bacio sulla bocca, abbracciandolo senza smettere di ballare. Beppe, tramortito da quel bacio più che fosse stato un pugno, si trovò a saltellare in congiunzione con Andreolli. Strettamente avvinti continuarono a girare in tondo, mentre la baraonda nella sala era pari a una bolgia dantesca.
Eravamo tutti estasiati e sfiniti.
Avevamo vent'anni. Era il 1970.